La pizza nel dopoguerra naviga sull’oceano con un unica destinazione: “il mondo”
Dopo i saluti del Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Paolo Giulierini, il quale ha ricordato che la pizza è un alimento proprio delle popolazioni italiche che il Museo rappresenta nelle proprie collezioni, per presentare il volume sono seguiti gli interventi degli oratori e di esperti dello Slow Food, moderati dal giornalista enogastronomico Luciano Pignataro.
Ci si è soffermati sull’artigianalità dei pizzaioli che si sono, negli ultimi tempi, alleati con i cuochi e si stanno sempre più avvicinando ai presidi Slow Food, per fare una pizza sempre più buona.
Il libro: “Pizza. Una grande tradizione italiana”, il primo libro di Slow Food Editore dedicato al cibo simbolo del nostro Paese, che è stato presentato nei giorni scorsi, non dice qualcosa in più sul mondo della pizza, ma di diverso con la voce dei pizzaioli, i diretti interessati, che sono stati premiati al termine dell’evento. Ma perché Napoli si è identificata con la pizza ? e perché mai proprio a Napoli ha avuto una diffusione così capillare ? si è chiesto Luciano Pignataro.
A questi interrogativi ha risposto in modo esauriente il Prof. Antonio Mattozzi che ha anche “sfatato” le leggende del settore. “A Napoli – egli ha detto – si è sempre fatta una specie di pizza ma, per voler dare una data di nascita, bisogna andare indietro sino al 1503, quando i feudatari si trasferirono a Napoli per controllare i Viceré spagnoli”.
Si trasferirono in città anche un gran numero di contadini provenienti dalle campagne, che vennero chiamati Lazzaroni per essere laceri e nullatenenti. In tal modo la popolazione crebbe di 3/4 volte. Nel 1871 Napoli aveva ben 450.000 abitanti, seconda solo a Parigi. “Una società così strutturata – continua Mattozzi – aveva bisogno di un alimento povero come la pizza per sfamare tante persone”
A Napoli la prima bottega di pizzaiolo nasce nel ‘700, ma solo nell’800 arriva alla piena maturazione. In un documento francese del 1807 vennero censite 68 pizzerie, aumentate a 120 nel censimento successivo di metà ‘800.
Nel ‘900 il numero si mantenne costante, mentre dopo la seconda guerra mondiale si ebbe il maggior incremento, tanto che la pizza ormai … naviga sull’oceano, con un unica destinazione: “il mondo”.
Il libro è frutto di un lavoro di ricerca e di riflessione dei singoli autori, ma diventa un’opera corale quando si lascia spazio ai vari protagonisti: i pizzaioli che Slow Food racconta con le loro ricette.
Partner del progetto di Slow Food Editore è la Ferrarelle Spa, icona del Made in Italy proprio come la pizza, essendo essa il miglior connubio per l’effervescente naturale, i cui valori sono affini alla propria cultura di marchio d’impresa: il rispetto della tradizione e allo stesso tempo l’apertura all’innovazione, la costante aspirazione all’eccellenza e inimitabilità. Michele Pontecorvo Ricciardi, responsabile comunicazioni e CSR della Ferrarelle Spa, sulla scia del motto aziendale: ”Vivi effervescente”, poiché anche la vita ha bisogno di vitalità, ha illustrato i motivi della loro scelta quale partner del volume Slow Food dedicato alla pizza. : “Vogliamo essere scelti per la nostra qualità e vogliamo conoscere le esigenze dei pizzaioli per essere dalla loro parte” ha detto Pontecorvo.
E, in attesa del riconoscimento da parte dell’UNESCO quale patrimonio immateriale dell’Umanità, concordiamo con la chef di pizza Marzia Buzzanca che la pizza è: “Un elemento vivo da cui non ci si può staccare”. E… allora buona pizza a tutti !
Harry di Prisco