La visione può sembrare surreale, ma oggi il deserto Israeliano del Negev è sede di una fiorente coltivazione di uva da vino. “È incredibile, ma l’archeologia mostra che ogni villaggio Nabateo, migliaia di anni fa, ha ospitato enormi presse di vino”, dice il dottor Aaron Fait, nato e cresciuto a Bolzano, ricercatore presso l’istituto per l ‘agricoltura e la biotecnologia Blaustein per le Ricerche del Deserto di Sde Boker, uno dei campus dell’Università di Ben Gurion.
“La quantità della produzione indica che il vino era non solo per uso locale, ma veniva esportato nel Mediterraneo: Grecia, Egitto, Turchia “. Il Dr. Fait, un biochimico della pianta, ricerca le qualità del seme e della frutta, per migliorare la qualità e il valore nutrizionale nonché il sapore. Ad esempio, si può guardare il cambiamento nella rete biochimica durante lo sviluppo di semi e frutta o in risposta allo stress. Per comprendere il metabolismo delle piante e la loro regolamentazione e migliorare i prodotti agricoli del deserto, un nuovo campo che ricerca le interazioni biochimiche che regolano la vita di una pianta. Fait lavora direttamente con gli agricoltori per applicare il frutto delle nuove ricerche scientifiche e monitorare poi i risultati. “Per migliaia di anni – dice il ricercatore italiano – l’arte della vinificazione è stata sviluppata in Europa. Ma il clima sta cambiando, quindi i modi tradizionali presto non funzioneranno più. Ora Israele è in grado di mostrare come è possibile reinventare la viticoltura per ambienti aridi e condizioni estreme”.
Il deserto del Negev, nel sud di Israele, è il luogo ideale per sperimentare la crescita delle vigne in condizioni di siccità. Aaron Fait, biochimico delle piante riferisce: «Consiglio ai giovani laureati italiani di andare all’estero, a me lo Stato Israeliano a messo a disposizione un milione di dollari per creare il mio laboratorio».
Le macchine usate si basano sulla spettrometria di massa e operano di giorno e di notte, consentendo di estrarre centinaia di metaboliti da un singolo campione, un seme o poche cellule, che possono essere esaminate con facilità. Ciò consente agli scienziati di condurre studi su vasta scala, che sono importanti perché i tratti vegetali sono regolati da numerosi geni. Temperature che superano i 45 gradi, suolo salino, evaporazione media di 2 mila millimetri l’anno a fronte di piogge per meno di 100 sono i principali ostacoli per la viticoltura nel Negev. «La vite è stata centrale nell’economia della regione per millenni grazie ad avanzate tecniche di conservazione dell’acqua. Con la conquista musulmana del VII secolo i vigneti sparirono per oltre mille anni». Solo adesso si è ripreso a considerare il deserto un luogo dove possa essere coltivata la vite come nei tempi antichi, utilizzando le moderne tecniche come i teli di nylon per proteggere il suolo dall’evaporazione, reti colorate sui grappoli per far passare soltanto la quantità di luce necessaria perché il frutto maturi senza bruciare e un’irrigazione intelligente basata sui bisogni della pianta, rilevati da appositi sensori. Il progetto “Irrigate”, in collaborazione con l’Università di Udine e con Netafim, azienda israeliana leader nell’irrigazione a goccia, ha consentito di applicare anche in Italia tale procedure.
Il clima del Negev non è cambiato per migliaia di anni. C’era poca pioggia, molta luce e un grande sbalzo di temperatura fra giorno a notte. Il popolo dei Nabatei sapevano come usare acqua limitata e risorse. “Terrazzavano le colline, approfittavano della rugiada creata dall’altopiano del Negev e immagazzinavano il vino negli ambienti freddi sotto le rocce dei canyon tra le colline” afferma Fait “oggi stiamo facendo fondamentalmente lo stesso, ma con nuove tecnologie, irrigazione a goccia, che è stata inventata in Israele, e controlla e minimizza l’acqua usata, anche l’acqua riciclata può essere impiegata.”
Harry di Prisco